Paolo Pileri insegna Tecnica e pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano. E’ stato il protagonista del terzo appuntamento organizzato da SEV a Sondrio, sabato 12 ottobre.
Tema dell’incontro, “L’incidenza della pianificazione urbanistica, territoriale e di tutela ambientale sull’attività agricola”. Ecco cosa è emerso.
Paolo Pileri – milanese, 46 anni con una laurea in Ingegneria per la difesa del suolo e la pianificazione territoriale – vanta al proprio attivo una vasta esperienza nel campo dell’analisi e valutazione ambientale e di pianificazione ambientale, specializzazione che lo ha portato a coordinare attività formative presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano tra il 2001 e il 2003. Dal 2000 fa parte del collegio di dottorato in Pianificazione urbana territoriale e ambientale, dove tiene il corso di “Indicatori di sostenibilità e processi decisionali”. La sua testimonianza al convegno di Sondrio, molto significativa, si è concentrata sugli effetti e le conseguenze generate dal consumo di territorio in Valtellina e sul patrimonio che questa attività sta compromettendo.
CONSUMO DI SUOLO AGRICOLO
Il dato di partenza è uno: al di là delle classi di abitazioni che costruiamo, il suolo sparisce comunque.
“Chi in Valtellina aveva ben inquadrato la portata distruttiva di questo fenomeno – ha spiegato Pileri – era il giornalista e ambientalista Antonio Cederna. Una figura straordinaria che scrisse cose durissime sulla deriva urbanistica locale, anticipando con una visione estremamente evoluta gli effetti del consumo del territorio in atto negli anni 50 e 60 del secolo scorso”.
Da buon ingegnere, il fulcro dell’analisi di Pileri non poteva che essere che quantitativo: “Se sparisce un ettaro, sei persone non mangiano. Lo dicono le ricerche e le statistiche”.
I NUMERI
I dati sul consumo del suolo, che da agricolo diventa urbanistico, sono ancora pochi e imprecisi.
Da quello che è stato possibile stimare, in provincia di Sondrio, tra il 1999 e il 2007, sono stati urbanizzati 777 ettari agricoli. Una cifra enorme per un territorio montano: “Siamo su una media di 2 metri quadrati persi al minuto” ha calcolato Pileri. Ma perché il consumo di suolo rappresenta un problema? Quali sono le conseguenze derivanti dalla perdita di 2 metri quadrati di terreno agricolo ogni minuto minuto?
Pileri l’ha sintetizzato così.
PER L’ARIA
Il primo dato riguarda l’aria che respiriamo. Il 20% dell’anidride carbonica diffusa ogni anno nell’ambiente deriva dal cambio d’uso del suolo. Questo avviene perché nel primo metro di profondità, il terreno contiene il triplo di Co2 presente nell’atmosfera. Non appena la benna di una ruspa infrange questo strato, il Co2 si libera, contribuendo a peggiorare le condizioni esistenti.
SUL CIBO
Il secondo aspetto riguarda il fabbisogno alimentare: se – come visto sopra – un ettaro di suolo dà da mangiare a sei persone per un anno, la perdita di questa superficie si trasforma in una riduzione drastica di questo riferimento. “Quanti piano urbanistici tengono in considerazione questo aspetto?” si è chiesto Pileri.
Certo, l’obiezione più ovvia che viene in mente è che oggi il nostro cibo arriva da altri luoghi. “Il punto però è che a livello generale, trascurare questo fattore significa innescare meccanismi che se si sommano tra di loro generano richieste di cibo sbilanciate tra vari i territori”. Il principio di sussidiarietà quindi aiuta a equilibrare le voci dello sviluppo e della conservazione a livello mondiale.
SULL’ECONOMIA
Il terzo elemento è di matrice economica e riguarda l’aumento della rendita che deriva dalla trasformazione di un terreno da agricolo ad urbanizzato. “È stato calcolato che oggi in Italia – ha commentato Pileri – chi costruisce su un terreno convertito da agricolo ad urbano, restituisce alla collettività una percentuale che oscilla dal 4% all’8% del valore guadagnato. Un rientro enormemente basso, sul quale una proposta di Legge oggi in fase di elaborazione in Italia vorrebbe almeno triplicare. In Germania, ad esempio, questa percentuale è pari al 30%. La cosa grave è che oggi, in Italia, quel 4-8% di valore restituito alla collettività, viene utilizzato dai Comuni per le spese correnti dell’ente e non per azioni di tipo compensativo. Oggi si usa il consumo del suolo agricolo, per generare flussi di cassa. Ciò avviene per necessità, ma anche perché in Italia non esiste una norma specifica sulla tutela del suolo. Anche la definizione di “suolo”, nel nostro Paese, è poco precisa”. Un punto, questo dal quale secondo Pileri, è necessario ripartire.
CHI CONSUMA DI PIU’
Chi decide l’uso del suolo in Italia? Il comune. Ciò – secondo Pileri – ostacola una visione complessiva più equilibrata. “In provincia di Sondrio – ha rilevato il docente -, così come avviene nel resto del Paese, più i comuni sono piccoli più il consumo suolo è elevato e questo si rileva nonostante quegli stessi comuni registrino ogni anno un calo demografico. Addirittura nei comuni con meno di 500 abitanti si registra un consumo del suolo più elevato che nei centri con maggior popolazione”.
Per Pileri, un elemento di riferimento potrebbe essere quello di rendere obbligatorio nel PGT la quantità numerica di ettari edificabili previsti in ciascun Comune per i prossimi anni. Oggi, questo danno non figura.
PENSARE ECOLOGICAMENTE, AGIRE POLITICAMENTE
Quali passi ci attendono? Altri Paesi hanno lavorato molto bene sulle regole e la loro riscrittura dell’urbanizzazione. Spetta agli enti definire una politica coraggiosa ma coerente, che permetta di dare considerare con maggior cura e attenzione, la perdita di suolo agricolo in ogni realtà collettiva.